Psichiatria e Omeopatia
Intervista al Dott. Ciro Ferraro[1]
di Carlo Melodia
D) Dott. Ferraro, risulta evidente dal numero delle visite online che hanno ricevuto, al momento, i suoi due interventi-articoli precedenti su questo blog, che i cittadini sono molto incuriositi e interessati alla salute mentale e naturalmente a quella dei propri cari. Salute mentale che, nella economia della nostra esistenza, assume la centralità della persona; il tutto in termini di cenestesi e di risonanza sul fisico e quindi sulla programmazione di vita e per le attività svolte e da svolgere proprie della nostra esistenza; anche in termini di relazioni sociali. Hahnemann parlò del significato della salute aggiungendo come traguardo “gli alti scopi della nostra esistenza” come ritroviamo anche nella definizione di salute sancita dall’OMS che parla non solo della salute del corpo ma di equilibrio generale; quindi, anche in termini di relazioni e adattamento sociale…
R) L’attuale condizione dell’uomo, per le sue conoscenze e per la necessità di adattamento ad una realtà sempre più complessa, non può prescindere dall’assenza di un benessere completo, diremmo bio-psico-sociale. La stessa OMS sottolinea che l’agire medico non è più finalizzato all’assenza di malattia ma, appunto, ad una condizione di “Salute” che chiaramente comprende “altro” oltre la sfera diremmo strettamente biologica. La complessità che ci contraddistingue è la perfetta dimostrazione di come l’uomo non è riducibile soltanto alla sua biologia. Inoltre, le enormi correlazioni tra il sistema nervoso centrale (sede della funzione più altamente evoluta che è la Mente) e tutti gli altri organi e apparati, oggetto di studio di quella corrente denominata psico-neuro-immuno-endocrinologia, mostra che vi è un “dialogo” costante all’interno del nostro corpo in perfetta “sintonia” con il dialogo che avviene all’esterno dello stesso (ambiente e, riflesso di quest’ultimo, l’ambiente psichico). Quindi è comprensibile l’interesse del lettore a tutto ciò che riguarda il mentale, d’altronde se non erro lo stesso Paschero[2] affermava che il corpo è spesso sede di un conflitto non risolto nella nostra mente.
D) D’altra parte, i Maestri in medicina, a partire da Ippocrate, videro nel “malato”, unitariamente, il significato stesso della malattia. Essi non hanno mai separato la mente dal corpo come era già evidente nelle terapie che avvenivano negli stabilimenti-templi di Esculapio in cui Ippocrate iniziò la propria attività di medico. La deriva dottrinaria che poi si basò sulla logica affermò successivamente la parzialità della malattia come obiettivo terapeutico, così avviene in realtà nella odierna pratica clinica convenzionale attraverso la specialistica. Nonostante l’organicismo imperante però ritroveremo il concetto di risonanza mente-corpo e viceversa nelle introduzioni dei trattati di patologia e di clinica medica ed internistica del Bufano, Harrison e Teodori; per citare i più noti. Personalmente non parlerei neanche di direzione psiche-soma e soma-psiche quando si osserva il malato storico nella visione vitalistica unitaria…
R) Purtroppo, la separazione mente-corpo e la contrapposizione cultura-natura è figlia di un processo filosofico-epistemologico che parte da Cartesio e arriva a plasmare il nostro pensiero occidentale. La ragione osserva e il corpo è l’osservato, occorreranno parecchi anni per invalidare questo principio, oggi diremmo, infatti, “sento quindi sono” e non più penso. Tutta l’attenzione sul mondo emotivo, sugli stati del sentire, alla conoscenza “tacita” non esplicita, le funzioni dell’inconscio o del super conscio cognitivo, dimostrano che la vera “esperienza” del vivente è sempre primariamente emotiva e corporea, e solo secondariamente razionale. La razionalità diventa, in questa ottica, “soltanto” l’ultimo prodotto di un processo evolutivo della mente che resta comunque primariamente legata al corpo e al sentire (mente incarnata come la definisce Varela) come forma immediata del conoscere. Inoltre, la stessa epistemologia evolutiva (la moderna filosofia della conoscenza) ha dimostrato il limite della conoscenza oggettiva mettendo in risalto più l’osservatore con i suoi limiti che l’osservato. Quindi, come è giusto dare priorità al sentire diventa altrettanto giusto dare importanza alle emozioni e alla loro capacità di far ammalare il corpo attraverso quelle connessioni cui abbiamo accennato (sistema nervoso periferico, immunitario ed endocrino). In questo senso la concezione vitalistica di chiara impronta omeopatica centra appieno il discorso mente-emozioni-corpo come un’unità funzionale indissolubile che rappresenta l’essere umano e la sua necessità di vita e adattamento (conoscenza) al suo ambiente.
D) Quindi, dalla ipotesi ippocratica, in termini dottrinari, è subentrata la scorciatoia della ratio uniforme della malattia ed è affiorata la logica metodologica organicista che è lontana dal concetto vitalistico in quanto il tutto si basa sulla evidenza diretta tra farmaco ed effetti da intercettare. L’organicismo scompone il malato in più parti e le singole alterazioni, affrontate settorialmente, come malattia indipendente, attraverso i farmaci chimici diretti solo all’alterazione, aumentano il conflitto biologico unitario del malato piuttosto che unificarlo indirettamente attraverso il recupero naturale del principio vitale; come è nella natura dei fatti; compresa la gestione del malato in psichiatria…
R) La visione organicistica in psichiatria è sicuramente ad appannaggio di quelle correnti, come ad esempio la psichiatria biologica, che punta alla correzione della funzione alterata con l’intervento chimico (e non solo, anche trattamenti fisici che vanno dalla terapia elettroconvulsiva fino alla nuova stimolazione magnetica transcranica). La scelta del farmaco poi va dall’azione sintomatica all’ambizione della correzione della causa della malattia (come se fosse l’alterazione biochimica la causa del disturbo). Diverso sicuramente l’approccio psicologico che, in maniera non dissimile alla visione unicista omeopatica, mette al centro la persona (e il suo vitalismo) e il sintomo psicologico ed anche francamente psichiatrico come compromesso di adattamento funzionale, nato dalla difficoltà di coerenza interna di un sistema complesso come l’uomo nel suo rapporto con l’ambiente.
D) Va osservato che mentre da una parte la bioetica, con i suoi comitati benemeriti, riscopre la centralità ippocratica del malato, in termini di finalità dell’arte medica, nella pratica clinica la metodologia convenzionale resta sempre ancorata ai dosaggi chimici e alla delega acritica[3] alle LLGG che perseguono l’obiettivo di un’azione mirata sulla biochimica alterata propria di quella diagnosi nosografica che accomuna nei tratti generali: tutti i malati di ansia, di depressione, compresa quella post partum, di angoscia e panico, di cenestesie che ti portano lontano dalla realtà con pensieri e percezioni spesso secondari a ricordi, suggestioni varie inclusa la musica e le “atmosfere” di certi luoghi o causate dalla presenza di una certa persona “inquietante” che porta alla “illusione” fino allo “sgomento” o alla “angoscia” impotente della suggestione…
R) Non dovrebbe meravigliare il “potere” di creare allucinazioni, dispercezioni anche corporee e suggestioni da parte della mente. Tutto lo scibile immaginativo che va dai sogni personali ai miti collettivi non sono che espressioni figurative della forza creativa del nostro inconscio e inconscio collettivo, che, come un abisso, può accogliere facilmente una mente debole che, in preda ad una sofferenza emotiva, può trovare purtroppo facile risposta in esso (deliri, allucinazioni) come trarne anche informazioni significative per venirne fuori (inconscio salvifico). In quest’ottica il sintomo resta sempre l’apparente miglior compromesso possibile nell’adattamento ad una realtà ostile o percepita come tale. In questo senso la visione omeopatica che centralizza la persona e la sua “reazione”, in maniera simile alle teorie psicologiche, vede nel sintomo una ricerca “fallita” di risoluzione di questo adattamento.
D) A tutti questi interrogativi, non praticando ancora l’omeopatia, trovai uno spunto di riflessione, nei termini causali, osservando, alla fine degli anni ’70, la guarigione psico fisica di una persona a me cara, attraverso il metodo omeopatico. Questo ragazzo da qualche anno si era sottoposto ad un percorso psico analitico[4], settimanale e assumeva ansiolitici. Tre anni di ricerca analitica sulla sua ansia ovvero sulle cause ontologiche e psico relazionali della origine del suo pensiero distorto e afflittivo, nei termini di una perdita dei gradi di libertà manifesta nella agorafobia e nella sua paura di perdersi e di svenire. Con la relazione psico analitica aveva imparato a ragionare in termini di ancoraggi continui per contrastare le proprie suggestioni di paura e angoscia; ma stava ancora cercando di fare riemergere, assieme al terapeuta, il bandolo della matassa come filo conduttore della perdita dei suoi gradi di libertà. Era riuscito infine ad oggettivare fuori di sé le cause efficienti addebitando la sua sofferenza a questo o a quello episodio di vita compresa la dinamica genitoriale che avrebbe generato la sua insicurezza da cui le fobie. Questa nuova consapevolezza sfociò con la ribellione preconcetta alle indicazioni e ai consigli dei genitori con l’aumento di conflittualità proiettata alle proprie circostanze colpevoli delle sue sofferenze ritenute acquisite (?). Il tutto con la certezza di essere la vittima impotente degli eventi esperienziali vissuti che assumevano in sé il piano causale. Come se l’uomo e il carattere fossero il risultato unidirezionale degli stimoli esterni e non dell’adattamento agli stessi: cosa quest’ultima che invece presuppone una tendenza individuale precostituita come vedremo…
R) L’idea che la psiche sia una “tabula rasa” alla nascita non è condivisa da tutti i filoni psicologici, cognitivi o psicoanalitici. Sicuramente la pre-morbosità come la individua l’omeopatia, in relazione ai miasmi, ha del corrispettivo in alcune teorie psicoanalitiche. Ad esempio, la teoria Junghiana si sofferma sull’esistenza di un inconscio collettivo che altro non è che quella eredità di esperienza del genere umano dai tempi della sua comparsa sulla terra e del suo adattamento all’ambiente, che poi costituisce la nostra genetica. Informazioni acquisite e poi trasmesse che andranno a costituire il nostro istinto, i modi di comportamento e di funzionamento dell’uomo. Ognuno di noi possiede informazioni che non sono personali ma eredità del genere umano che attivate possono influenzare nel bene (o nel male) le nostre azioni. Come quelle eredità miasmatiche individuate dall’omeopatia che restano in “attesa” di diventare manifeste quando le condizioni ambientali le sollecitano. Sicuramente la risposta adattiva è sempre il prodotto sia dell’azione dell’ambiente che delle risorse, acquisite o appunto congenite del singolo, comprese quelle in “nuce” nel suo corredo genetico, in senso positivo o negativo.
D) In realtà, osservando questo caso, mi colpì il fatto che l’omeopata curò il ragazzo velocemente senza speculazioni cognitive e retrodatate solo al percorso di vita e ai suoi ricordi ma osservando gli effetti secondari alle cause durante i cambi anamnestici; che sono peculiari in ogni soggetto storico. In realtà la nuova metodologia, omeopatia, aveva ribaltato il costrutto psico analitico ponendo sullo stesso piano la predisposizione e lo stimolo efficiente: in termini di esclusiva soggettività di ogni malato! Insomma, emerse il soggetto storico unico che riscontrava il suo vissuto in modo del tutto peculiare e tutto ciò spostava l’asse del quesito diagnostico non più ricercandolo solo all’esterno e alle circostanze vissute ma alla idiosincrasia e recettività di quel malato, unico nelle reazioni alle sue circostanze…
R) Il discorso uomo-ambiente è piuttosto complesso, e sicuramente le disposizioni individuali e i cambiamenti ambientali sono sicuramente una miscela esplosiva destinata a deflagrare quando meno te lo aspetti. Il periodo in cui queste variabili raggiungono la massima imprevedibilità è sicuramente l’adolescenza. Adolescenza che rappresenta tra l’altro anche la massima potenzialità di cambiamento del sistema complesso che è l’uomo. È in questa fase che verranno i nodi al pettine di un’infanzia complicata, delle difficoltà di adattamento alla realtà sociale e della disposizione individuale di cui lei parla. Le disposizioni individuali, ad esempio che Jung individuò nell’introversione ed estroversione, come predisposizione “naturale” alla migliore capacità adattiva al mondo interno o mondo esterno, sono già presenti e sicuramente determinanti. La manifestazione miasmatica, invece, di cui parla l’omeopatia, potrebbe anche rappresentare le modalità di reazione che contraddistinguono l’uomo, manifeste in rapporto agli agenti infettivi, ma conforme alla natura di cui egli stesso è già costituito o quantomeno che la stessa “causa” infettiva ha contribuito a determinare. Quindi una reazione sifilitica[5] non è soltanto la risposta biologica alla sifilide, anche se in rapporto alla stessa si è palesata, ma l’adattamento distruttivo o autodistruttivo di un sistema complesso, nell’interazione tra lo stesso ed un ambiente fortemente oppositivo e aggressivo, o percepito come tale, biologico o psichico che sia.
D) L’omeopatia in realtà si interessa alla unità reattiva del “soggetto” malato, ma lo fa partendo dalla persona, considerando anche i suoi sintomi generali e fisici relativi al sonno, la digestione le circostanze, le reazioni, anche quelle cutanee, le illusioni (delusions): ovvero quei pensieri non pensati, alle volte strani, difficili da trovare nella nosografia della psichiatria classica, che affollano la mente del soggetto storico e che sono difficili a non pensare o a pensare di non pensare; il tutto nelle loro modalità di presentarsi e/o circostanze…
R) Sicuramente una visione unitaria che ingloba mente e corpo, come è presente nella semeiotica omeopatica, non trova similitudini in psichiatria ad eccezione forse del filone psicosomatico come anche quello che l’omeopatia chiama delusions (illusioni), che sicuramente potrebbero rientrare nell’ambito della psicologia cognitiva, in quello che viene compreso nelle cosiddette distorsioni cognitive, nel pensiero tacito e nel dialogo interno. Ma una visione unitaria che correla mente, corpo, sintomi d‘organo e sintomi generali, come un tutto “compreso” nella reazione della persona al suo momento storico-ambientale, non ha eguali.
D) Questa mia osservazione di una interpretazione unitaria e peculiare delle cause di malattia che mi portò poi a studiare l’omeopatia, in passato era stata preceduta da una speculazione direi filosofica. Ovvero è evidente a chiunque che in una famiglia, per citare lo stesso ambiente di riferimento, più figli hanno caratteri e comportamenti differenti e che più persone reagiscono in modo differente ad uno stesso evento anche drammatico. Potremmo dire che l’evento o stimolo ambientale anche ad alta intensità a cui veniamo sottoposti, mentre determina una reazione psico fisica, non ne determina solo la quantità ma soprattutto la qualità della risposta. La reazione qualitativa allo stimolo risiede nella natura della persona (miasma-cronicità). La presenza di polline nell’ambiente non determina in tutti l’allergia ma la fa emergere in chi è “predisposto” e su vari piani: pelle, asma, rinite… Così come pure un evento catastrofico in presenza di morti vedrà reazioni differenti: c’è chi si lancia nel soccorso, chi fugge per non essere coinvolto, chi si paralizza e poi assorbe l’esperienza e cade in depressione… Alla fine del tutto la logica ci porta a comprendere che le cause delle nostre sofferenze risiedono solo nella nostra recettività dovuta ad un vitalismo alterato in termini cronici predisponenti… Come insegna il costrutto metodologico omeopatico hahnemanniano con la osservazione miasmatica (cause predisponenti)…
R) La recettività individuale è sicuramente un fattore determinante e le differenze tra figli nell’ambito della stessa famiglia, spesso già alla nascita, è un dato di fatto. Ma le variabili familiari e sociali, quindi ambientali, non vanno in secondo piano, altrimenti non si spiegherebbero “epidemie” di disturbi psichici come le dipendenze o i disturbi alimentari negli adolescenti, o le attuali varianti delle manifestazioni di identità di genere, fino a qualche anno fa inesistenti. Penso vi sia un enorme feed-back tra individuo e ambiente, cosicché diventa già quasi impossibile capire chi è l’uovo e chi la gallina, figuriamoci individuare la causa e l’effetto. L’immagine che associo a questa correlazione tra uomo e ambiente, genotipo e fenotipo, è quella di un antichissimo simbolo alchemico, l’uroboro, cioè il serpente che mangia la coda. Modelli psicosociali possono trovare “terreno fertile” in alcuni meno in altri, questa la recettività di cui lei parla, ma poi bisogna considerare le dinamiche familiari, comportamenti trasmessi non in maniera genetica ma come modalità adattative alle variabili ambientali. Quando in omeopatia si va a ricostruire le malattie somatiche e psichiche dei familiari e si evidenziano i cosiddetti aspetti sifilitici, probabilmente ci troviamo di fronte ad una certa aggressività adattiva, dettata sicuramente da disposizioni individuali ma anche da modalità acquisite e comunque, in entrambi i casi, trasmesse in modo consapevole o meno ai discendenti (strategie di coping). Ad esempio, trasformare una reazione sifilitica in psorica significa far imparare al soggetto a riconoscere la propria vulnerabilità emotiva in maniera diversa, accettante e consapevole e sperare che lo stesso possa trasmetterlo ai suoi discendenti, sia come carattere fenotipico (epigenetica) che come strategia di coping. In entrambi i casi avremmo una futura individualità (figlio), meno terreno fertile per reazioni morbose “sifilitiche” agli stimoli avversi ambientali.
Grazie dott. Ferraro per questi chiarimenti interessantissimi e degni di una approfondita riflessione.
Spero di poter continuare questo argomento appena possibile subordinatamente alle sue disponibilità.
(Note a piè pagina di Carlo Melodia)
[1] Dirigente Medico Psichiatra Dipartimento Salute Mentale ASL Napoli 3 Sud, Referente Rete e Polo Aziendale Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione.
[2] Tommaso Paschero, famoso medico Omeopatico Argentino, operò a Buenos Aires, sede della scuola del pensiero psicoanalitico che ha formato numerosi medici, anche omeopatici, alla comprensione profonda del malato “immerso nelle proprie circostanze di vita”. Paschero è stato uno dei quattro fondatori della LUIMO e docente per numerosi anni; venendo a Napoli periodicamente dalla lontana Argentina.
[3] In contrasto con le obbligazioni che leggiamo all’Art. 12 del nostro Codice deontologico che consegna di fatto alla scelta del medico la responsabilità terapeutica senza deroghe!
[4] In tanti anni di pratica clinica ho verificato che il “sostegno” psicologico soprattutto sul piano comportamentale può essere benemerito per un confronto imparziale tra le gabbie del proprio conflitto di vita e la consapevolezza di nuovi orizzonti possibili suggeriti o elicitati da un terapeuta capace. Ma la consapevolezza non può estirpare la tendenza costituzionale e predisponente insita in quel soggetto storico!
[5] Nella terminologia della medicina omeopatica si parla di sifis, sicosi e psora in riferimento alle possibilità di una persona di reagire secondo una delle tre possibili predisposizioni (miasma); come osservato e dimostrato da Hahnemann. In questo caso la predisposizione cosiddetta sifilitica porta il soggetto a reagire ad uno stimolo con impulsi di distruttività verso l’ambiente esterno e se stesso, il tutto caratterizzato dall’azione istintiva senza passare dal filtro della inibizione tipico, ad esempio, del miasma psorico ma anche alla furbizia del sicotico dedito alla fuga e sottrazione di fronte ad un impulso frontale e impegnativo.

